Una nuova soluzione per diversificare: i mercati frontiera
Paolo Bascelli, Milano, 11/03/2021
I mercati finanziari sono sempre più interconnessi e trovare soluzioni di investimento che, a livello geografico, consentano di diversificare il rischio, è un compito che si rivela sempre più probante per gli asset manager. Tuttavia esistono mercati finanziari, che in precedenza erano disponibili solo ad operatori specializzati locali, che stanno assumendo sempre maggior rilievo a livello globale: i cosiddetti mercati di frontiera. Si intendono con questa locuzione quelle economie che non si qualificano ancora come emergenti e che presentano tratti specifici: una dinamica di forte crescita del PIL accompagnata da un notevole incremento demografico, grande disponibilità di forza lavoro (l’età media della popolazione di queste aree è di gran lunga inferiore a quelle delle economie avanzate) con conseguenti benefici in termini di produttività e di crescita della domanda interna di beni e servizi. L’insieme dei mercati di frontiera include Paesi come Vietnam, Bangladesh, Pakistan, Filippine, Croazia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Egitto, Nigeria, Kenya, Marocco, Perù, Colombia e Bolivia (il consenso sulla lista dei Paesi che appartengono a questa categoria non è unanime e pertanto sono state indicate esclusivamente le nazioni su cui c’è maggior concordanza di opinioni). In termini di correlazione nei rendimenti tra i mercati di frontiera ed altre aree geografiche ed asset class, si nota come a parte nel caso delle economie emergenti (indice di correlazione a 5 anni pari a 0,73), negli altri casi la correlazione sia storicamente piuttosto bassa o minima (tabella in fig.1). Ne consegue che l’inserimento in portafoglio di uno strumento finanziario che consenta di esporsi ai mercati di frontiera, contribuisce in modo efficace a diversificare il rischio.
Figura 1. Dati raccolti in EUR, a cadenza mensile, dal 31/12/2013 al 31/12/2018. Fonte: Bloomberg, 31/12/2018
Per quanto riguarda il contesto macroeconomico globale esso risulta favorevole rispetto alla decisione di investire nei mercati frontiera, sebbene vi sia qualche riserva. Tra gli aspetti positivi sono sicuramente da sottolineare la debolezza del dollaro (fatta eccezione per l’ultimissimo periodo che ha visto un recupero del valore del biglietto verde, di cui parleremo fra poco), l’aumento dei prezzi delle materie prime, di cui i Paesi frontiera sono forti esportatori, e la ferma volontà espressa dai Paesi del G20 e dal Fondo Monetario Internazionale, di concedere moratorie temporanee sulle posizioni debitorie dei mercati frontiera per consentire di governare meglio gli shock e le conseguenze causati dalla pandemia globale di COVID-19. Tra gli aspetti a sfavore invece occorre necessariamente segnalare le aspettative di rialzo dei tassi di interesse negli USA sulla scia di una ripresa dell’inflazione causata da manovre di forte espansione fiscale come, per esempio, quella allo studio da parte dell’amministrazione Biden. Ciò favorirebbe un riapprezzamento del dollaro che comporterebbe sia un aumento della pressione sulle valute locali dei Paesi frontiera, forzando le autorità a intervenire per difendere i tassi di cambio, sia un peggioramento delle posizioni debitorie di tali Paesi, nonostante le promesse di moratorie temporanee promesse. Tuttavia in un’ottica di ripresa dell’economia globale, sebbene sarà con ogni probabilità lenta, graduale e non esente da possibili battute d’arresto, gli investitori potrebbero voler ribilanciare i loro portafogli in virtù di un nuovo appetito per il rischio, scaricando asset al momento molto costosi (basti pensare ai titoli azionari tecnologici americani) e reindirizzando la liquidità verso Paesi emergenti e mercati frontiera.
L’insieme dei mercati frontiera, come abbiamo visto dall’elenco riportato ad inizio articolo, è piuttosto eterogeneo e quindi è bene effettuare dei distinguo ed evidenziare i Paesi che presentano i migliori dati a livello macroeconomico.
Fonte dati: Tradingeconomics.com
Nella tabella si è preferito riportare esclusivamente, per chiarezza di esposizione, solo i Paesi migliori, indicando con delle gradazioni di verde e di rosso quanto siano significativamente positivi o negativi i dati riportati. Tra le due nazioni è da preferirsi sicuramente il Vietnam, sia per il tasso di inflazione decisamente più contenuto rispetto a quello del Bangladesh, sia per il tasso di disoccupazione inferiore e per il saldo positivo delle partite correnti (ricordiamo che un saldo positivo delle partite correnti sta a significare che il Paese è un esportatore netto di beni e servizi a livello internazionale). Un’ulteriore osservazione sui dati riportati riguarda il tasso di inflazione del Bangladesh: oltre ad essere piuttosto elevato, è superiore al tasso di interesse decennale, rendendo di fatto il tasso di interesse reale negativo e di conseguenza sconveniente investire in titoli di stato governativi.
Sulla scia di quanto detto in precedenza commentando i dati macroeconomici, si segnalano i seguenti fondi a gestione attiva, in cui il peso dell’investimento nel Vietnam sul totale dell’AUM ha un peso rilevante:
- East Capital Global Frontier Mkts A EUR (ISIN LU1125674454): si tratta di un fondo che al 30/06/2020 investiva il 13,54% della liquidità gestita in partecipazioni azionarie di aziende vietnamite. È denominato in EUR e presenta una commissione di entrata pari al 5,00%, oltre ad un TER pari al 2,36% annuo.
Rendimenti: da inizio anno +3,87%; a tre anni -0,99%; a cinque anni +5,35%
- Fisher Investments Institutional Frontier Markets Equity Fund USD (ISIN IE00BRK98013): si tratta di un fondo che al 30/06/2020 investiva il 23,35% della liquidità gestita in partecipazioni azionarie di aziende vietnamite. È denominato in USD, non presenta commissioni di entrata ed un TER pari al 2,05% annuo.
Rendimenti: da inizio anno +2,64%; a tre anni +5,71%
- Eurizon Fund - Equity Emerging Markets New Frontiers Class Unit R EUR Accumulation (ISIN LU0857130511): si tratta di un fondo che al 31/05/2020 investiva il 27,18% della liquidità gestita in partecipazioni azionarie di aziende vietnamite. È denominato in EUR e presenta una commissione di entrata pari al 4,00%, oltre ad un TER pari all’1,94% annuo.
Rendimenti: da inizio anno +3,34%; a tre anni -1,96%; a cinque anni +2,55%
Per quanto invece riguarda gli strumenti finanziari a gestione passiva (senza particolare focus sul peso dell’investimento in Vietnam in relazione all’AUM) si segnalano:
- Xtrackers S&P Select Frontier Swap UCITS ETF 1C (ISIN LU0328476410): si tratta di un’ETF a replica fisica, denominato in USD, il cui obiettivo è replicare la performance dell’indice S&P Select Frontier Index che comprende le partecipazioni azionarie delle società a più alta capitalizzazione e maggiormente liquide dei mercati frontiera. L’ETF ha un TER pari allo 0,95% annuo.
Rendimenti: da inizio anno + 4,33%; a tre anni -2,00%; a 5 anni +7,50%; a 10 anni +5,36%.
- iShares MSCI Frontier 100 and Select EM ETF (ISIN US4642861458): si tratta di un’ETF a replica fisica, denominato in USD, che mira ad investire in partecipazioni azionarie di aziende dei mercati frontiera e di alcuni Paesi emergenti. L’ETF ha un TER pari allo 0,79% annuo. Questo ETF non è armonizzato*.
Rendimenti: a un anno +7,67%; a tre anni -1,90%; a 5 anni +7,14%.
*Un ETF non armonizzato è uno strumento finanziario che non ottempera alle regole di informazione e trasparenza richieste all’interno della comunità europea. Inoltre subiscono una tassazione più sfavorevole rispetto alle loro controparti armonizzate poiché tali ETF vanno obbligatoriamente indicati nella dichiarazione dei redditi, diventando così assoggettati all’imposizione dell’aliquota marginale sul reddito dichiarato, che è quasi sempre superiore rispetto alla ritenuta di imposta applicata da parte dell’intermediario, in qualità di sostituto d’imposta, sugli ETF armonizzati.
Disclaimer: Questo articolo è frutto delle opinioni di chi lo ha redatto e supervisionato. Il presente articolo non costituisce né un invito né una sollecitazione all’investimento. Nessun compenso viene ricevuto per l’espressione di queste opinioni. Si dichiara inoltre di non avere alcun rapporto commerciale con le società e gli enti di ricerca menzionati.
Nota bene: le azioni sono uno strumento altamente volatile, pertanto la quota posseduta di tale strumento all’interno del portafoglio deve essere coerente con la propensione al rischio dell’investitore. È consigliabile affidarsi ad un professionista in grado di gestire il rischio in modo efficiente.