Il caso Italia
(un’analisi comparata con Francia e Spagna)
Vanni Lanzoni, Global Financial Planner, Milano, 09/11/2018
Nello svolgimento della mia professione, spesso, mi capita di notare delle distorsioni fra le interpretazioni che si fanno di alcuni eventi politico-finanziari (da parte di media, politici, persone comuni) ed i parametri che esprimono e sintetizzano quegli stessi eventi.
Uno di questi ci sta assillando da 8 mesi circa, ovviamente sto parlando della situazione italiana.
Sappiamo da diversi anni che il debito del nostro Paese è alto, che la crescita del PIL è inferiore alla media europea per non dire di quella mondiale, ma questo non ha impedito a molti investitori di inserire nei loro portafogli quantità elevate di BTP con durate finanziarie consistenti per cercare di strappare rendimenti leggermente positivi (dal momento che le durate brevi erano a rendimento negativo) .
Da parte mia, è dal 2015 che sconsiglio l’acquisto di BTP, anzi ne consigliavo la vendita. La mia interpretazione tecnica era la seguente: il premio (rendimento) era troppo basso rispetto al doppio rischio (rialzo tassi e stabilità dell’emittente).
Ora che i nodi sono arrivati al pettine, ossia il rischio Italia è emerso in tutta la sua violenza ed i tassi americani hanno cominciato ad alzarsi, tutti quelli che storcevano il naso al consiglio del proprio consulente di vendere e dichiaravano di dormire sonni tranquilli al pensiero di avere prestato soldi allo stato poiché non può fallire, ebbene ora sono in panico, arrabbiati con questo o quel politico, con questo o quell’economista. Ora il timore che l’Italia possa avere delle difficoltà nella tenuta dei conti sta avendo il sopravvento, che lo spread possa abbattere il capitale delle banche una facile previsione.
Risultato: si vende e non si acquistano BTP con rendimenti più che doppi, si vendono e non si acquistano banche italiane, alcune solidissime, al 40% in meno.
Ray Dalio, CEO dell'hedge fund Bridgewater
Una lettura di questo comportamento irrazionale può essere effettuata attraverso la spiegazione del
fenomeno della retroazione: le mani grosse (hedge fund, grandi investitori speculativi etc.) individuano un trend e sull’onda dell’emotività spingono a favore del trend per spostarlo sempre di più dai prezzi corretti, creare una bolla, per poi invertire improvvisamente l’operazione, facendo bruciare i patrimoni dei piccoli ed arricchirsi smisuratamente.
Onestamente devo ammettere che non saprei dire, in questo momento, quanto del movimento in atto contro BTP e banche italiane sia alimentato dagli hedge, ma ricordo molto bene che nel 2011 quando lo spread raggiunse e superò quota 500 ci furono dei movimenti speculativi indiscutibili (vi consiglio il libro di Guido Maria Brera “I diavoli” casa ed. Rizzoli); tutto finì quando George Soros, insediatosi Monti al governo, dichiarò che i titoli di stato italiani, a quei prezzi, erano un’ottima occasione di acquisto, fu il segnale per far scoppiare una bolla negativa e i prezzi tornarono a valori più equi, fin troppo.
Ma torniamo ad oggi.
Il sottoscritto, come penso la maggioranza del Paese, nutre una grande diffidenza e scarsa fiducia nei
confronti della classe politica. Un sentiment che riguarda la classe politica attuale, come ha riguardato buona parte di quella passata. Ma per capire bene cosa sta succedendo sul mercato finanziario interno occorre avere un approccio laico, ripulirsi da simpatie o antipatie più o meno giustificate, affidarsi alla dimensione più oggettiva, fredda e trasparente che abbiamo: i numeri.
La crisi che stiamo vivendo parte da molto lontano (alcuni la fanno erroneamente risalire alla partenza
dell’euro: pur condividendo l’idea che non fossimo pronti per partire con una moneta così forte in comproprietà con partner strutturalmente più forti di noi e contro competitor colossali con valute che possono indebolire a piacere o quasi, ritengo che non sia stata la causa principale come per esempio la mancanza di un piano di investimenti strutturali importanti al sud e nelle aree industriali del nord a partire dagli anni 80 e la rinuncia ad un set di riforme che per esempio la Germania ha implementato ad inizio anni 2000), ma il cambio di paradigma, il cambiamento sistemico si ha sostanzialmente dal dopo Lehman Brothers. Da questo momento vengono messi in discussione i debiti e la sostenibilità delle banche, degli stati, oltre che quelli dei privati. Dal 2008 niente è stato più come prima.
La mia intenzione è di effettuare un’analisi comparativa fra Italia, Francia e Spagna (i paesi in Europa con il Pil più elevato), lasciando da parte i primi della classe, che sappiamo essere stati i migliori da qualche decennio a questa parte, i tedeschi.
Vorrei, insieme ai lettori, cercare di dare alcune interpretazioni ai tormentoni che quotidianamente sentiamo risuonare nei programmi televisivi, in quelli radiofonici o nelle pagine internet piuttosto che nella stampa nazionale.
Partiamo da un confronto dei fondamentali:
Incominciamo a fare il punto su alcune evidenze.
*La Spagna è cresciuta nell’ultimo anno molto più di noi (2,5% vs 1,8% , rimane però un’economia più piccola in termini assoluti della nostra), ma noi siamo cresciuti più della Francia in termini relativi.
**Molto interessante notare che fra i tre rapporti deficit/PIL (gov. Budget, il rapporto che per intenderci l’Europa ci sta contestando), sia proprio quello italiano il più basso, al 2,3%, coerentemente però con il fatto che noi abbiamo il debito/pil più alto, il che ci obbliga ad essere più attenti nel produrne di nuovo.
***Ultimo dato da osservare è il conto delle partite correnti (export-import), dove l’Italia è messa meglio con un attivo dell’export su import pari al 2,8% del PIL.
A vedere questo specchietto sembrerebbe la Francia e non l’Italia quella che sta dimostrando più difficoltà in termini di flussi. Il dato che risulta più preoccupante per l’italia è la crescita del PIL dell’ultimo trimestre pari a 0%, ci stiamo nuovamente fermando, mentre Francia e Spagna continuano nel loro processo di crescita.
Vorrei ora analizzare la reazione di questi tre paesi al dopo Lehman Brothers in termini di prodotto interno lordo e debito:
Grafico del PIL italiano (2008-2018)
L’Italia è passata da 2390 miliardi a 1934, ha avuto una contrazione in 10 anni del 19%.
Trend in atto dal 2015, leggermente positivo.
Grafico del PIL francese (2008-2018)
La Francia, nello stesso periodo, ha avuto una contrazione del Pil del 11,51%. Meglio del nostro Paese.
Trend in atto dal 2015, leggermente positivo, superiore all’Italia.
Grafico del PIL spagnolo (2008-2018)
La Spagna è stata la peggiore, ha perso il 19,8% di prodotto interno lordo in 10 anni.
Trend in atto dal 2015, decisamente positivo.
Grafico del rapporto debito/PIL italiano (2008-2018)
Il rapporto debito/PIL nel nostro Paese è salito del 29%. Normalmente ad un’espansione del debito si associava una crescita economica, in questo frangente invece si è incrementato il fardello debitorio per le generazioni attuali e future togliendo loro reddito. Trend stabile.
Grafico del rapporto debito/PIL francese (2008-2018)
Relativamente al debito, i francesi non hanno saputo fare molto meglio di noi, +29%. Va segnalato però che partivano da una posizione più solida e che, come abbiamo visto, a parità di debito prodotto hanno avuto una contrazione del reddito inferiore alla nostra. A differenza dell’Italia che ha stabilizzato il trend, la Francia continua ad aumentare il debito in rapporto al PIL.
In termini percentuali è stata la Spagna ad aumentare il proprio rapporto debito/PIL, +59%, ma il Trend è in riduzione costante grazie alla forte crescita del denominatore.
Grafico del rapporto debito/PIL spagnolo (2008-2018)
Mi sembra chiaro che la crisi finanziaria americana del 2007-2009 abbia incontrato un sistema molto debole in tutta Europa e non solo in Italia.
In questa comparazione si possono evidenziare luci ed ombre per ognuno dei tre paesi chiamati in causa. Forse si può dire che la Francia ha dimostrato maggior stabilità complessiva; la Spagna una miglior reattività negli ultimi tre anni, grazie ad una stagione di riforme (partita troppo in ritardo tanto da presentare la gestione del debito nettamente peggiore nell’ultimo decennio); l’Italia continua a dimostrare una debolezza superiore alle altre nella crescita del Pil, ma come abbiamo già visto nettamente più forte nelle partite correnti (export >import), dimostrando ancora una vitalità ed una competitività industriale davvero notevoli.
CONCLUSIONI
Pertanto, alla luce dei fondamentali, gli spread dei tre paesi rispetto al decennale tedesco non sembrano molto coerenti. In data odierna:
296 dell’Italia è quasi tre volte quello spagnolo 118, otto volte quello francese 36,6. Quindi il divario è spiegato esclusivamente dalla valutazione che i mercati fanno del rischio politico del nostro governo.
Le implicazioni sui nostri risparmi possono essere molteplici nel breve e medio termine (sono passati già otto mesi dall’insediamento dell’esecutivo giallo-verde), mentre nel lungo termine saranno i fondamentali ad avere peso.
Il consiglio che ne deriva è di mantenere portafogli ampiamente diversificati da un punto di vista geografico; all’Italia (azioni e obbligazioni) dare un peso non oltre il 10%, soprattutto se l’orizzonte temporale è inferiore ai tre anni, preferire i CCT ai BTP ed accumulare lentamente le azioni e obbligazioni delle banche più solide e delle piccole aziende fortemente internazionalizzate. Se si allunga l’orizzonte temporale, i prezzi attuali hanno buone probabilità di rappresentare una buona occasione di acquisto.
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